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Ennio racconta: “Nell’infanzia”

Continuiamo con i racconti dei nostri Custodis: Ennio ci accompagna in un viaggio tra i suoi ricordi, alla fine degli anni ’50.

NELL’INFANZIA

Avevo circa 8 anni, era la fine degli anni ’50, iniziano qui i ricordi vividi della mia infanzia, ricordi indelebili, che mi hanno accompagnato nel corso della vita e che ancora porto con me.
C’era la scuola elementare, all’inizio in classe mista: 30 alunni agli ordini della maestra Giuliana. Poi ci suddivisero in due classi: le femmine rimasero con la maestra Giuliana e noi maschi andammo con la maestra Carolina. Immaginatevi, una signorina tutta d’un pezzo, molto austera, con un’età indefinita tra i 45 e 70 anni, con una squadra di ragazzi che vedevano l’andare a scuola come un parco divertimenti, tra scherzi e risate.
Poco dietro la scuola si trovava la cascina gestita dai miei nonni materni, teatro delle mie giornate fanciullesche. Un cortile, prati e campi infiniti dove con gli amici passavamo i pomeriggi tra calcio, nascondino, guardie e ladri o i dimenticati
sgarella e ciale. E come dimenticare la merende di una volta, quelle che la nonna con tanta generosità e amore preparava per tutti. Ingredienti semplici e genuini, ma chiudendo gli occhi riesco ancora a sentirne profumi e sapori che mi riempiono il cuore.

In modo particolare erano due i periodi che prediligevo durante l’anno: il primo verso la mezza primavera, dopo Pasqua, quando i nonni inauguravano la frasca. Una quindicina di giorni in cui si aprivano casa e cortili per gli avventori, adesso lo chiameremmo agriturismo. Tutta la famiglia era impegnata nella frasca: i nonni, la mamma, la zia e gli zii servivano i clienti con abbondanti cibarie. Seppur fossimo i piccoletti di famiglia, anche io e i miei cuginetti eravamo reclutati: dei piccoli camerieri provetti!
Tanti i piatti che uscivano dalla cucina: uova, carne, salumi, verdure accompagnati naturalmente da fiasche di vino!
I fine settimana erano i giorni più vissuti: tantissima gente, chi più giovane chi meno, si riversava nella nostra frasca per giocare a carte, a tresette, alla mora e a discutere animatamente di vari argomenti. L’argomento preferito era sicuramente lo sport, il ciclismo in particolar modo. Coppi e Bartali non vincevano solo su due ruote, ma in tutti gli ambienti! D’altronde, la “Frasca dei Barbai” era molto conosciuta in tutta la Bergamasca: contadini, operai, ma anche “signorotti” non si facevano mancare un buon pane e cotechino bagnato da un altrettanto buon vinello.
Tutti si conoscevano e tutti avevano un soprannome, come si usava in quei tempi, che era per lo più riferito al casato. Infinite partite a carte che vedevano protagonista
ol Barbai, ol Marches, ol Tunì, ol Frances, ol Matinì, ol Zanu’ ol Tone sae…
Le frasche erano veramente punti focali della vita di paese e quasi tutte le cascine le facevano alternandosi tra primavera ed estate. Usanze che sono andate scemando nel tempo, ma credo che la cascina del Nino Rebussi, il grande amico di mio padre di Rosciate, sia stata l’ultima ad ammainare la bandiera una ventina di anni fa.

L’altro momento epico, nei miei ricordi di bambino, era invece verso la fine dell’autunno, il giorno dell’uccisione del maiale. Era un rito, una grande festa per tutta la famiglia, i vicini, gli amici. La regola era che bisognava aspettare il freddo, in un giorno tra novembre e dicembre.
Mi facevo svegliare presto dalla mamma per poter andare dai nonni a vedere l’ultima passeggiata del maiale. Per quasi tutta la sua vita era tenuto nello
stabek, il suo piccolo recinto, circa 4 metri quadri di spazio, in modo che potesse ingrassare per bene, senza rischiare che perdesse della ciccia! Ma quel giorno era speciale anche per lui, poteva scorrazzare libero per tutta l’aia. Dopo la corsetta, il nonno, gli zii e due uomini, penso fossero gli addetti alla macellazione, lo catturavano: era giunto il momento. Io ero sempre molto attento a come si muovevano e lavoravano, ma mi dispiaceva un po’ per quello che era diventato il mio maialino.
Da lì, però, ecco comparire i primi salumi, cotechini, costine e carni prelibate. L’arte norcina l’ho vista poco, verso le 8 dovevo lasciare la cascina dei nonni per andare a scuola. Ma quel giorno speciale la mia mente non era sui libri: già pregustavo il grande pranzo della festa! La nonna che faceva la grande polenta nel camino, le costine, la carne che sfrigolava nelle pentole e quel profumo indimenticabile che si diffondeva nell’aria… E poi la torta di sangue. La nonna ci aggiungeva formaggio e spezie segrete: una vera leccornia!

Erano davvero momenti belli e indimenticabili, che rimarranno sempre nella memoria, mia e di tutte le persone che li hanno vissuti.
Quanti racconti ci sarebbero ancora, aneddoti, vicende, personaggi unici che hanno vissuto la mia infanzia! Mi riserbo di raccontarveli in un altro momento, magari di persona, in uno dei nostri itinerari…